I frutti di bosco sono conosciuti per essere “super-food”, termine reboante che non indica assolutamente nulla. O meglio: per super-food si dovrebbe indicare un alimento che, per le sue caratteristiche intrinseche, è in grado di determinare una significativa riduzione dei fattori di rischio ossidativo, metabolico e cardiovascolare, e quindi si dimostra utile per la prevenzione di diverse patologie. In realtà nessun alimento, di per sé, è in grado di fare la differenza sulla salute.
Quello che conta è l’alimentazione nel suo complesso.
Ad esempio, è risaputo che il tè verde, grazie al suo contenuto di epigallocatechine, è utile per controllare la pressione cardiaca e l’insulino-resistenza: bere due tazze di tè verde al giorno vi aiuta? Dipende: se nel resto del tempo pasteggiate con piattoni di tagliatelle, carne alla brace e merendine, direi proprio di no; se invece la vostra alimentazione è complessivamente sana ed equilibrata, ecco che il consumo regolare di tè verde può essere un prezioso plus. Ovviamente bisogna prestare attenzione anche alla qualità del tè scelto: un conto è scegliere le preziose foglioline sfuse ed integre coltivate sugli altipiani cinesi e giapponesi, tutt’altro discorso è prendere il tè in bustina di una marca commerciale, dalle foglie spezzate, annerite e ossidate, e magari coltivate in prossimità di aree urbane molto inquinate (non sono pochi gli studi scientifici che attestano alti livello di metalli pesanti in molte marche di tè commerciale…).
In relazione ai frutti di bosco, trovo quasi preoccupante che se ne incentivi il consumo spingendo sul tasto salutistico. Esistono infatti almeno quattro considerazioni da porre in primo piano prima di sbandierarli come alimento miracoloso:
– Innanzitutto, i frutti di bosco (e i derivati: succhi di frutta, marmellate e via dicendo) che troviamo in commercio sono di serra, e non selvatici. Gli antiossidanti per cui vengono tanto decantati sono molecole che la pianta produce per difendersi dagli attacchi esterni degli insetti e, in parte, di agenti atmosferici avversi alla loro crescita; quando mangiamo frutti di bosco selvatici il loro potere antiossidante è veramente elevatissimo, mentre se consumiamo prodotti di serra il contenuto di agenti positivi è estremamente ridotto. Il motivo è semplice: vengono irrorati di fertilizzanti e pesticidi, e vengono coltivati in serre che garantiscono le condizioni di crescita ideali, quindi la pianta non ha bisogno di sforzarsi a produrre molecole difensive. E’ un po’ come se voi non usciste mai di casa quando piove: che bisogno avete di comprare dieci ombrelli?
– Secondo enorme problema: i pesticidi. I frutti di bosco sono molto delicati: è sufficiente una piccola variazione delle condizioni climatiche o un attacco da certi insetti per poter decimare un raccolto o poterlo rovinare al punto da renderlo invendibile. I coltivatori di piccoli frutti non possono permettersi un simile rischio, quindi si fanno pochi scrupoli a usare prodotti chimici che preservino le piantine: vantaggio per il produttore, svantaggio per il consumatore (che, magari, è anche attratto dai mirtilli più belli e tondi, o dalle fragole più grosse e lucenti…). L’esposizione al pesticida è totale: non ci sono foglie esterne (come per i cavoli) o scorze dure (come per gli agrumi) a fare da filtro; tutta la chimica di cui i frutti di bosco sono irrorati viene assorbita prima dai frutti stessi e poi, inevitabilmente, dal nostro organismo.
– Il commercio di frutti di bosco freschi rappresenta una minima percentuale del loro mercato: i piccoli frutti sono venduti perlopiù come surgelati, marmellate, succhi di frutta concentrati, disidratati o polverizzati. Ogni trattamento termico che subiscono comporta un impoverimento di sostanze antiossidanti, vitamine e minerali; di pari passo vengono concentrati gli zuccheri. Ne risulta un prodotto di scarsa qualità nutrizionale, inutile ai fini salutistici. Sottolineo quest’aspetto perché più di una volta mi è capitato di parlare con pazienti che consumavano quotidianamente succhi di frutta al mirtillo pensando le potesse aiutare a migliorare un microcircolo fragile, segnato da vene varicose e capillari in evidenza. In realtà, quei 200 ml di succo regalavano loro circa 30-35 g di zucchero ogni giorno (zucchero dei mirtilli stessi), senza alcuna protezione da molecole positive o presenza di fibra.
– Le molecole benefiche per le quali i frutti di bosco, e i mirtilli in particolare, sono tanto conosciuti si chiamano polifenoli: diversi studi li hanno messi in relazione ad un diminuito rischio di malattie cardiovascolari, formazione di colesterolo ossidato, aterosclerosi, diabete II e malattie neurodegenerative. Queste evidenze scientifiche sono molto ben documentate, il problema -come sempre- non ha nulla a che vedere con una presunta falsità delle notizie circolanti, bensì con la dose effettiva che possa essere efficace sull’uomo. Vale a dire: quanti frutti di bosco devo mangiare ogni giorno per poter beneficiare delle loro proprietà positive? Impossibile dare una risposta: il contenuto di polifenoli varia da 48 a 304 mg per etto di frutti di bosco (quello di antociani, altri antiossidanti, da 25 a 495 mg/100 g), e dipende dalla cultivar, dalla condizioni di maturazione e dai trattamenti che i piccoli frutti hanno subìto. Gli studi scientifici che indagano le proprietà positive per l’uomo sono piuttosto discordanti riguardo le quantità giornaliere di assunzione di polifenoli: c’è chi parla di 400 mg/giorno, chi di quasi 1 grammo al giorno: le quantità corrispondono a 100-300 g di frutti di bosco in condizioni ottimali, o a più di un kg qualora la maturazione non fosse completa o il prodotto fosse stato trasformato in succo di frutta o marmellata. A seconda del trattamento termico o meccanico che i frutti di bosco subiscono si ha una diminuzione più o meno consistente del contenuto di polifenoli e antociani: consultando questa tabella potete farvi un’idea.
Insomma, impossibile definire dosi di riferimento per le quali i frutti di bosco si rivelino essere veramente benefici per la salute: se vi piacciono, nulla vi vieta di consumarli, anzi! Cercate di fare attenzione a consumarli solo se di buona qualità (ricordate l’alto livello di assorbimento dei pesticidi!), ma non fatevi abbindolare da ridicoli messaggi di marketing facile: una coppa di frutti di bosco a fine pasto vi toglierà la voglia di dolce, apporterà un po’ di vitamine e minerali e una manciata di antiossidanti, ma non sarà in alcun modo in grado di proteggervi da rischi metabolici o cardiovascolari. Men che meno se i frutti di bosco vengono consumati come marmellate, succhi o surgelati (a fronte, invece, di un elevato apporto di zuccheri concentrati).
In generale, guardate sempre con sospetto la vendita di prodotti alimentari decantati essere “super-food”: non è altro che (costosa!) moda. Una stagione sono le bacche di Goji, quella successiva i semi di chia; un anno è il cacao crudo, quello successivo la polvere di baobab.
Non dimenticate mai che:
1. E’ impossibile determinare quanti grammi di un dato alimento è necessario assumere (e per quanto tempo) per poter avere benefici a prescindere da ogni altro fattore (ossia, quanto e quando questo consumo sia benefico a prescindere dal resto della vostra alimentazione, dall’attività fisica praticata, dai livelli di stress o dall’uso di nicotina, ad esempio).
2. Le molecole per le quali il cibo è davvero in grado di diminuire i fattori di rischio per malattie (omega3, antiossidanti, grassi monoinsaturi, CLA…) sono variabili in funzione di fattori impossibili da conoscere per il consumatore finale (maturazione, uso di pesticidi, crescita in serra, cultivar, atmosfera di crescita…).
Ha senso esaltare il cioccolato per il ricco contenuto di ferro quando a ben guardare il contenuto per porzione è irrisorio, e soprattutto scarsamente biodisponibile sia a causa della tostatura del cioccolato, sia per il contenuto di tannini che ne rendono difficoltoso l’assorbimento intestinale? Ecco, discorsi del genere possono essere estesi a molti altri esempi: il calcio nei semi di chia, gli omega3 nei semi di lino, il resveratrolo nel vino…
3. Dato più importante di tutti. A fare la differenza sulla nostra salute non è mai un singolo indicatore, ma la nostra alimentazione nel suo complesso.
Cerchiamo di mangiare in modo vario ed equilibrato, colorato e saporito; evitiamo cibo confezionato e industrializzato: scegliamo più dalla terra e meno dallo scaffale. Indirizziamoci verso un’alimentazione a base vegetale, senza per questo demonizzare le proteine animali. Ma non fidiamoci mai di chi decanta le virtù di un singolo alimento.
Bibliografia
– A.Michalska, G.Lysiak – Bioactive compounds of blueberries: post-harvest factors influencing the nutritional value of products – Int J Mol 2015 Aug;16(8): 18642-18663
– S.Skrovankova, D.Sumczynski, J.Micek, T.Jurikova, J.Sochor – Bioactive compounds and antioxidant activity in different types of berries – Int J Mol 2015 Oct;16(10): 24673-24706